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UE: Vent'anni dopo ma con un finale diverso

Publishing date
11 June 2012

Torna lo spettro del 1992: non quello, che alcuni pure paventano, del terrorismo e dell’instabilità politica, ma quello della tempesta monetaria. A chi li ha vissuti gli eventi degli ultimi mesi ricordano in modo impressionante quell’estate di vent’anni fa che precedette la drammatica svalutazione della lira e di altre valute europee. La storia si ripete in forme diverse, questo lo sappiamo; ma che cosa c’è di vero e cosa di ingannevole in questa analogia?

Come allora l’Europa è divisa in due, con paesi “periferici” – collocati sempre a sud, salvo poche eccezioni anglofone – che perdono competitività e accumulano, chi più chi meno, deficit nei confronti degli altri. Se la parità monetaria non si aggiusta, le banche centrali devono colmare lo scompenso: vent’anni fa perdevano reserve valutarie, oggi accumulano debiti verso altre banche centrali. La speculazione allora aveva il volto un po’ mefistofelico del finanziere ungaro-americano George Soros, oggi si ripresenta nella forma più sfuggente e ancor meno controllabile di migliaia di soggetti, fra cui molti piccoli risparmiatori, che spostano i loro depositi verso banche percepite più “sicure”. Non si tratta di pochi lupi, come ha argomentato efficacemente un’analisi della Citibank circolata negli ultimi giorni, ma di un gregge di pecore: di solito stanno ferme, ma quando si spaventano corrono via tutte insieme e difficilmente tornano indietro.

Sappiamo, dopo le esperienze recenti, che in assenza di unione bancaria e fiscale una moneta unica non è sostanzialmente diversa da un insieme di monete legate da un cambio fisso, come alcuni invece speravano. Il rischio di crisi di fiducia non scompare: si sposta solo temporaneamente su un terreno diverso. Le banche prosciugate di depositi e di capitale dipendono sempre più dal sostegno dello stato nazionale, a sua volta depauperato dalla fuga dei capitali verso emittenti sovrani affidabili. Banche e stati nazionali si stringono in un abbraccio instabile che rovina entrambi: i casi della Grecia, in cui banche solide sono andate in breve tempo in bancarotta per la loro esposizione versio lo stato, e della Spagna, in cui è accaduto l’opposto, sono emblematici. La lezione più generale è che non basta un accordo politico pur apparentemente saldo, come fu l’unione monetaria allargata decisa nel 1998, a rendere duraturo un equilibrio economicamente precario.

Ma se la storia a volte si ripete, ciò non significa che torni indietro. A differenza del 1992, oggi l’euro è una realtà tangibile familiare a tutti. Una presenza di cui di cui gli Europei, a nord come a sud, non vogliono più liberarsi. Lo rivela a denti stretti – gli autori sono euroscettici – un sondaggio di opinione pubblicato in America negli ultimi giorni (ww.pewresearch.org): in tutti i paesi europei la grande maggioranza degli intervistati esclude il ritorno a una valuta nazionale. Lo scarto delle preferenze in Germania non è poi tanto diverso da quello in Grecia o in Spagna. Un sondaggio non è un referendum, ma l’impressione è la stessa che si ricava da altre fonti. Le persone sembrano dire ai politici: non tutti volevamo l’euro all’inizio, ma è acqua passata; ora che c’è fatelo funzionare creandoci meno problemi possibile. E a guardare bene ci sono segnali, da varie direzioni, di movimenti in positivo: la Grecia (e non solo lei) sta recuperando pur con dolore parte della competitività perduta; il baricentro politico in Germania è in movimento ma non vi sono al momento segni prevalenti di rigetto della solidarietà europea; la banca centrale europea è riuscita, intervenendo attivamente nonostante i vincoli, a contenere le spinte centrifughe più acute. Le istituzioni europee, pur con vari errori (l’insostenibilità di certi debiti e di certi programmi di aggiustamento andava capita prima) si muovono lentamente nella giusta direzione. La riedizione traumatica del 1992 può ancora essere ancora evitata.

A version of this column was also published on Il Corriere della Sera Il Corriere della Sera

About the authors

  • Ignazio Angeloni

    Ignazio Angeloni joined Bruegel as a visiting fellow in June 2008 and is currently a Member of the Supervisory Board of the European Central Bank. He has previously been the Director General - Financial Stability, Head of ECB preparation for the SSM, and Adviser to the ECB Executive Board on European financial integration, financial stability and monetary policy. He was the coordinator and contributor to the the G20 monitor.

    Before that, he was the Director for International Financial Relations at the Italian Ministry of Economy and Finance.

    He holds a Ph.D. in Economics from the University of Pennsylvania. His research interests include macro economics, central banking, financial markets and the economics and politics of European integration.

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